Dopo l'ipotesi sulla "memoria" dell'acqua

LA SCIENZA INTOLLERANTE
di Marcello Pera, "La Stampa" del 1 luglio 1988



L'ammetto, e volentieri. In fatto di medicina omeopatica ho sbagliato di grosso. Mi sono fatto anch'io per anni convincere dalla propaganda della medicina ufficiale che ci assicurava che la diluizione ripetuta di un farmaco in acqua non può produrre alcun risultato terapeutico perché, alla lunga, nell'acqua non rimane nemmeno una molecola del farmaco. Stando all'anticipazione di un articolo di Jacques Benveniste su Nature sembra ora che la notizia sia falsa, perché il farmaco lascerebbe comunque una traccia nella struttura molecolare dell'acqua senza perciò perdere la sua attività biologica. A consolazione del mio errore, può andare il fatto che non ho mai avuto più fiducia nella medicina ufficiale che in quelle alternative. E a consolazione dell'errore della medicina ufficiale può andare il fatto che la prova dell'errore è stata ottenuta con i metodi della stessa medicina ufficiale (prove di laboratorio).
Però si tratta di consolazioni magre, perché il vero errore stava altrove ed era ben più grave. Esso consisteva nel credere che la verità scientifica si ottiene avanzando delle ipotesi e controllandole severamente, e si trasmette comunicando l'ipotesi e discutendola liberamente. La scoperta di Benveniste relega questi ideali nel mondo delle fate. In quello degli uomini, degli scienziati, le cose vanno altrimenti.
Questa scoperta (anche se non risultasse vera la cosa non cambierebbe) prova infatti che la medicina ufficiale ha per anni sostenuto una "verità" senza uno straccio di prove; inoltre prova che la medicina ufficiale ha per anni esorcizzato le sue alternative, ha posto l'ostracismo ai loro cultori, li ha condannati senza neanche ascoltarli e, quando ha dovuto ascoltarli, li ha accolti con scetticismo. Si veda in proposito l'istruttivo commento editoriale di Nature: "Non c'è alcuna evidenza (prova) che questo comportamento dell'acqua possa essere nei confini della possibilità". Perché allora Nature pubblica l'articolo? E' forse diventato l'organo degli stregoni e dei maghi?
Si obietterà che la diffidenza verso le medicine alternative era ed è ben riposta, perché in questo settore abbondano i ciarlatani. E' vero, ma a parte che ci sono anche ciarlatani con la laurea (sempre più), l'obiezione è mal diretta. Perché il problema non sono qui gli individui, ma le loro idee e il modo in cui si provano e discutono. Il problema è il conflitto fra l'etica della scienza e la politica della scienza.
L'etica della scienza richiede il massimo di libertà; in particolare, richiede che le idee "eterodosse" (le sole da cui nasca il progresso scientifico, e da cui ci si possa aspettare una scoperta interessante) siano protette, incoraggiate e discusse seriamente. La critica e la tolleranza sono il pane della scienza. A riprova di quanto queste virtù alberghino nel loro regno, gli scienziati usano spesso un aneddoto: "Un giorno un oscuro impiegato dell'Ufficio Brevetti di Berna di nome Alfred Einstein inviò ad Annalen der Physik un articolo che sconvolse la fisica...". Ma sono balle, ahimè.
Non c'è grande scoperta, compresa quella di Einstein, che non sia stata osteggiata anche con i colpi più proibiti da insigni rappresentanti della scienza ufficiale. Così fu per Galileo, Harvey, Darwin, e tanti altri. Se si guarda la cosa storicamente, è difficile sottrarsi alla conclusione che è raro trovare comunità tanto poco permeabili alla critica quanto quelle scientifiche.
Il fatto è che di fronte alle esigenze dell'etica della scienza ci sono le dure realtà della politica della scienza. Se la prima richiede libertà, l'altra esige controlli; se l'una reclama tolleranza, l'altra pratica censure sotto forma di diniego di fondi o di pubblicazioni. I casi abbondano. Il fisico che dice che la meccanica quantistica è, nel migliore dei casi, incompleta, viene messo al bando. Fred Hoyle ha raccontato il calvario che percorse per vedersi stampato il suo celebre articolo sul modello stazionario dell'universo in espansione.
Di recente, il matematico Umberto Bartocci ha reso nota una motivazione tipica con cui Annals of Physics respinge articoli critici sulla relatività: "Come sicuramente lei comprende, la teoria della relatività ristretta è stata verificata in un enorme numero di situazioni sperimentali. Ogni tentativo di modificarla deve perciò non solo dimostrare qualche deviazione sperimentale, ma anche dimostrare come il grande insieme delle prove a conferma possa essere reinterpretato o dimostrato falso". E' tolleranza o spirito critico questo? E' dialogo, tanto più necessario qui, dato che la fede nella relatività ristretta è da tempo scossa? Il celebre impiegato dell'Ufficio Brevetti avrebbe mai portato alla luce la sua teoria con redattori illuminati siffatti?
La scoperta di Benveniste (ripeto: anche se fosse falsa) può essere un'utile occasione per ripensare i problemi della politica della scienza di oggi. E' opportuno che soprattutto gli scienziati non si sottraggano a questo compito. Altrimenti farebbero del male a se stessi e sarebbero loro i primi a dar ragione a quei ragionatori che, in ritardo sul Sessantotto, vedono nella scienza, oltrechè uno strumento del Maligno, un braccio secolare del Potere.