Il Mito del GRAAL

Il Graal è un mito che pare non debba mai tramontare. Da millenni, questo simbolo è ammantato di fascino e mistero, ed è fonte di ispirazione per letteratura, musica e arte di ogni tempo. La ricerca del Graal, detta "cerca", ha impegnato cavalieri e ricercatori, e ancora oggi, periodicamente, viene riproposta attraverso opere letterarie o indagini storiche.
Il Graal è stato definito in mille modi: dalla rappresentazione più conosciuta, ovvero la coppa, all'immagine di una pietra preziosa, ad un libro; ma è stato anche visto come un oggetto immateriale, depositario di una conoscenza spirituale.
Ma prima di addentrarci nell'interpretazione della sua essenza, proviamo a tracciarne il percorso storico, cercando così di definire le sue origini.
Il mito del Graal è noto soprattutto per una serie di leggende bretoni e gallesi, tra cui la raccolta gallese di antiche leggende druidiche intitolata Mabinogion, trascritte e rese note intorno al XII secolo da autori come Goffredo di Monmouth, Chretien de Troyes e Wolfram von Eschenbach.
Leggende che conobbero la notorietà in virtù del fatto che furono adottate e reinterpretate dall'esoterismo cristiano. Il Graal divenne così il sacro calice che raccolse il sangue di Gesù, e questo simbolismo fu condito in mille modi diversi, con il risultato di trasformare il mito in qualcosa di incomprensibile, ma propagandistico ai fini della religione cristiana. In realtà le leggende gallesi furono un tentativo di trasmettere una storia ben più antica e complessa, e una volta ancora si è usato il mito per tentare di trasmettere un messaggio tra le maglie della storia e delle persecuzioni.
Se vogliamo provare a risalire alle origini del mito, dobbiamo andare molto indietro nel tempo, fino a quella cultura che ci ha lasciato imponenti vestigia ma anche un profondo mistero: la cultura megalitica.
Nonostante l'evidenza dei suoi reperti, e nonostante sia diffusa in tutti i continenti, non abbiamo nessuna indicazione storica circa la sua natura; e visto che i ricercatori a tutt'oggi non ci sono di nessun aiuto, dobbiamo tentare di farcene un'idea attraverso le leggende di quei popoli che ne furono i continuatori.
Antiche leggende dello sciamanesimo nordico ci parlano di un'arcaica civiltà, detta "sciamanesimo solare", originaria del nord europa, con conoscenze, anche tecnologiche talmente avanzate da permetterle di attraversare i continenti. E in effetti il fenomeno del megalitismo non è circoscitto al nord europa ma si estende in tutto il mondo.
La definizione "sciamanesimo solare" nasce probabilmente dal simbolismo adottato per la costruzione dei suoi templi. In effetti, i templi megalitici rivelano conoscenze astronomiche avanzatissime, spesso dedicate ai movimenti del sole, come nel caso di Stonehenge (Inghilterra) o Newgrange (Irlanda), per citare i più noti.
Il sole, per questa antica civiltà, era simbolo di risveglio spirituale, e la celebrazione dei solstizi e degli equinozi (cui spesso questi templi erano dedicati) diventava un importante riferimento religioso e sociale.
Anche la scelta dei luoghi non era casuale: pare infatti che questi antichi sciamani fossero buoni conoscitori delle forze telluriche del pianeta, dalla cui energia attingevano per le loro pratiche terapeutiche e spirituali. I luoghi megalitici erano eretti proprio nei punti dove questa energia si poteva rivelare, e vi si poteva entrare in contatto. Questo simbolismo è mantenuto intatto all'interno di culture aborigene come quelle dei nativi americani o australiani, dove il fenomeno dei "vortici" di energia è conosciuto e ancora oggi usato per scopi religiosi.
Secondo la mitologia celtica, i megaliti furono eretti da un popolo "venuto dal nulla e scomparso nel nulla..." Un mitico popolo che la tradizione irlandese ricorda come i Tuatha De Danann. Il popolo della dea Dana, gli antichi abitatori dell'Irlanda dotati di poteri soprannaturali.
Secondo la tradizione irlandese, questo mitico popolo viveva una condizione pressochè edenica, in armonia con la natura, e con un sistema sociale avanzatissimo: assoluta parità tra i sessi, un'assemblea sovrana che usava una democrazia diretta, e soprattutto, la ricerca spirituale al primo posto tra i suoi valori. Principi che ricordano l'antico patto della civiltà dello sciamanesimo solare, il Nardana (i 10 principi), su cui si basava la socialità di quel popolo e da cui, secondo alcune interpretazioni, deriverebbe il nome "Tuatha De Danann" (il popolo del Nardana).
Questo stile di vita traspare in tutte le saghe e le leggende nordiche, dove molto spesso le battaglie e le imprese cavalleresche sono simbolizzazioni di una ricerca spirituale. Le prove, spesso sovrumane, cui è sottoposto il cavaliere alla conquista del suo Graal, sono facilmente interpretabili come prove iniziatiche per raggiungere la conoscenza e la forza interiore.
Purtroppo non esistono tracce storiche accreditate dei Tuatha De Danann; tale memoria esiste però nella tradizione druidica, essendo i druidi i testimoni nel tempo di una civiltà oggi scomparsa, almeno nella sua manifestazione sociale.
Ogni civiltà nasce attorno ad una filosofia che è l'espressione di un preciso rapporto nei confronti del Trascendente: la civiltà celtica è nata intorno al druidismo.
Ed è stato proprio attraverso i druidi, sacerdoti dei celti, che è avvenuto il passaggio tra la conoscenza sciamanica della civiltà megalitica e la tradizione druidica; un passaggio indolore e non traumatico, o piuttosto la continuazione di un preciso insegnamento. Gli antichi dolmen, menhir, cromlech, furono adottati dai druidi scozzesi, irlandesi, bretoni, ma anche galiziani, asturiani, occitani, baschi, che ancora oggi li usano per le loro cerimonie rigorosamente tenute all'aperto.
Ma quale fu l'anello di congiunzione fra queste due importanti civiltà? Fu proprio il Graal. Abbiamo detto precedentemente che il Graal è stato interpretato in vari modi e con varie forme. Coppa, pietra, libro, oggetto immateriale... Ma che cos'è il Graal?
Se andiamo al di là del fumoso simbolismo cristiano, il Graal ci appare come la manifestazione di una antica tradizione che viaggia parallela alla storia, senza mai andare perduta; una tradizione che usa di volta in volta simbolismi diversi, ma che puntualmente, in momenti bui, fa la sua comparsa per ispirare filosofie e religioni.
Del resto il mito del Graal non è un fenomeno solo celtico ma compare in tutte le tradizioni del pianeta, con simbolismi o nomi diversi, ma con le stesse caratteristiche: si parla di una conoscenza antica, spesso proveniente addirittura dall'esterno del nostro pianeta, che nonostante si mantenga nascosta, in momenti storici particolari fa la sua comparsa e si "rivela" a chi la sa interpretare.
Anche il mito dei Tuatha De Danann, con nomi diversi, compare in posti ben lontani dal nord Europa. Basti pensare agli Anasazi, un misterioso popolo preistorico che comparve in epoca imprecisata nel continente americano e scomparve misteriosamente all'improvviso, lasciando un ricco bagaglio archeologico composto da imponenti edifici in pietra, tumulus, graffiti e menhir.
La tradizione del Graal sembra non avere tempo nè collocazione geografica, eppure, con la chiave adatta, non è difficile mettersi sulle sue tracce.
Una tradizione sciamanica che testimonia un preciso cammino spirituale, che viene tramandato da tempi immemorabili, come si intuisce anche da una delle interpretazioni che sono state fatte del nome del mito: "Gnosis Recepita Ab Antiqua Luce".
Il percorso di questa antica tradizione è ben rappresentato dalle leggende celtiche, soprattutto quelle del famoso ciclo della Tavola Rotonda. Molte sono le fonti e molte le interpertazioni. Tuttavia esistono dei punti di riferimento comuni: la figura di Artù, la figura di Merlino e, appunto, il Graal.
Le figure di Artù e quella di Merlino sembrano due aspetti di un'unica storia; parrebbe che in realtà fossero due modi di descrivere uno stesso personaggio.
Artù, brutta traduzione di "King Arthur", è un personaggio che molti storici sostengono sia realmente esistito. Già nel IX secolo l'"Historia Britonum" di Nennio nominava un Arturus Rex. Qualche secolo più tardi (1135) le tradizioni arturiane sono state raccolte da Goffredo di Monmouth e, tradotte in latino, ebbero una rapida circolazione tanto nel mondo anglonormanno quanto in quello francese, dando così origine al ciclo della Tavola Rotonda.
Nella tradizione gaelica King Arthur è ricordato come quel re che riscattò la nazione celtica dall'occupazione romana e sassone e ripristinò le antiche tradizioni. In pratica, il simbolo di un rinascimento celtico che ha infiammato i cuori di non pochi movimenti indipendentisti, sia gallesi che scozzesi o irlandesi.
Ma emerge anche un ritratto di King Arthur che rivela una mentalità tutta particolare, riecheggiante quella antica cultura che si rifà ai Tuatha De Danann: fra King Arthur e i suoi Cavalieri esisteva un rapporto di assoluta parità e fratellanza. La Tavola Rotonda era un simbolo che indicava appunto tale eguaglianza: non c'era un posto di previlegio nè per il re nè per nessun altro. La fratellanza che li legava era prioritaria anche rispetto ai legami di cuore, addirittura superiore all'amore che King Arthur portava per Ginevra.
La figura di Merlino è più complessa. Nato da un amplesso tra una vergine e il signore delle tenebre (unione tra Bene e Male), Myrddin (Merlino in gaelico) cresce nella piu' completa solitudine, nella foresta di Broceliande, nel cuore della Bretagna, dove, a contatto con le forze della natura, avviene la sua formazione druidica. Successivamente intraprende un viaggio che lo conduce presso tutte le terre celtiche, e qui non è difficile intravvedere il passaggio di una tradizione itinerante le cui radici hanno lasciato tracce indelebili in posti lontani ma uniti da una matrice comune.
Merlino trasmette i suoi insegnamenti ad Artù ed è grazie a questi che quest'ultimo può divenire Re di tutte le Inghilterre.
La figura di Merlino rispecchia l'identità sciamanica del sacerdote-guerriero, ovvero del ricercatore che, pur partendo da solide basi scientifiche, si spinge oltre i confini del conosciuto verso sempre nuove mete. Una figura che nutre un profondo rispetto per la natura e gli esseri che l'abitano, in grado di dialogare con gli animali e con gli alberi. Un uomo che nella solitudine e nel dialogo intimo con l'esistenza trova forza interiore; un ricercatore che sa cogliere la magia dell'esistenza e che nell'armonia con la natura sa usare le forze nascoste dell'universo.
Il Graal, ancora una volta, diventa la chiave di interpretazione e il trait- d'union fra i vari elementi simbolici.
Infatti il Graal è un preciso cammino iniziatico la cui struttura portante è la meditazione. Nella sua essenza, il Graal è la meditazione, ovvero quel processo evolutivo esistente in natura che nell'uomo si manifesta con una crescita spirituale.
Un'esperienza che è stata l'ispiratrice e la struttura portante di importanti civiltà di cui oggi abbiamo traccia solo nel mito. Civiltà che collocavano la ricerca spirituale al primo posto della loro scala-valori, e che lasciavano ampio spazio all'individualità e alla creatività personale. Culture che insegnavano a rispettare la natura e le forme di vita diverse dall'uomo.
Un passato scomodo da ricordare. Immaginiamo quindi i motivi per cui non se ne trovi traccia nella storia ufficiale, anche se le prove della sua esistenza sono sotto gli occhi di tutti. In definitiva, possiamo vedere nel mito del Graal tanto una tradizione quanto un'esperienza evolutiva, e in questo senso la coppa è un simbolismo azzeccato: rappresenta tanto il contenitore quanto l'esperienza contenuta in esso.
Il cavaliere alla ricerca del Graal altro non è che l'iniziato alla conquista della Conoscenza. Così come le manifestazioni del Graal nei miti delle culture del pianeta altro non sono che la testimonianza della presenza di una tradizione che si trasmette ininterrottamente dalla notte dei tempi. E, vista la portata del suo messaggio, non ci stupiamo che abbia avuto bisogno di nascondersi dietro un mito.

Rosalba Nattero - NEC news maggio 97